Gianni Aricò nato a Quero (BL) il 21.02.1941, scolpisce come un musicista che suona: immette direttamente nel turgore delle materie il battito del tempo.
Nell’atto di plasmare l’emergere e il gonfiarsi dei volumi corporei l’istante: non l’ora del meriggio del volgere delle albe e dei tramonti, come nell’ora degli impressionisti, ma, propriamente lo scivolare via dell’istante. In genere i mortali contemplano il mondo così come è fatto. Ma gli artisti amano il mondo non così come è fatto, ma, insoddisfatti, non lo subiscono e ricreano le sue forme, il suo apparire, ne offrono perenni trasformazioni, sempre nuove ristrutturazioni secondo infinite possibilità di rinnovamento immaginativo e di nuovi mondi del pensiero e del sentimento.
Gianni Aricò nasce artista. Vede la luce a Quero (tra i monti del Bellunese), imbevuto di luce e di forme, delle massicce forme delle montagne che dovranno imprimersi nella sua visione e più tardi nelle sue opere senza mai abbandonarlo. Non tarda molto, infatti, a nascere dentro di lui, pur entro ai percorsi degli studi di Architettura e di Ingegneria (facoltà universitarie significative) nel corso della sua, in quella ormai inarrestabile piena di insopprimibili spinte interiori, sempre più prepotentemente opera il suo vero ideale di riplasmazione delle forme viventi del mondo, vale a dire la scultura. Ed ecco scendere dai suoi monti un fiume di opere. Opere massicce a volte corrugate e più spesso dolcemente plastiche. e morbide come curve gentili, figlie dei monti amati e dei loro profili di cielo.
Giunto alfine, nel pieno vigore degli anni, a scrollarsi di dosso il peso di una laurea e degli studi superiori, eccolo darsi interamente tra le braccia delle potenze trasformative del mondo nell’opera scultoria, senza più abbandonarla. Una dietro all’altra nascono così, in uno straordinario rincorrersi di figure viventi - viventi nei loro ideali e nei loro gesti quotidiani - un mondo che palpita sanguigno come il “reale” vivente mondo ma più libero e svincolato dai destini del vivere mortale. Opere come quelle di Murer (e degli artisti e degli artigiani della montagna, assorbite nella infanzia e nella sua adolescenza) portano dentro il segno segreto di ciò che é destinato a durare. Aricò, che pure insegue il battito esemplare dell’istante, poichè ama cogliere, nel suo figurare il mondo che vive nell’atto della sua istantanea liberazione, nello scorrere della durée réelle di una temporalità, che la filosofia di Bergson aveva già designato come patria intuitiva dell’arte. La scultura di Aricò, giunta ormai al massimo riconoscimento e successo in Italia come nei paesi europei ed extraeuropei, si avvale di questo suo proprio timbro: la presenza di un vivo immaginare che mette la materia a vivere, in carne ed ossa, una realtà artistica potentemente rubata al tempo e presente nella intuizione di una temporalità verticale che, presa in rete dall’intuizione, continua a vivere felice. (D.F.)