Più delicate le note, più sommesso il canto e più limpida sgorga la vena poetica nelle arti. Ed anche qui, nell’opera incisoria, nel modo di filar via dei segni che la punta delle svariate tecniche calcografiche, dell’acquaforte, dell’acquatinta (o di entrambe unite) attua un lieve scorrere sulle lastre di supporto evocando alberi e case tra ombre amiche e trasparenze di luce, a volte fino a far emergere le linee di un paesaggio da un tutto-luce che invade la scena, una cascina diroccata, un giardino, ebbene, tutto questo può diventare - e in Mario Balestreri diventa - musica di sommessa poesia.
Mario Balestreri viene all’incisione solo in apparenza raccolto in operose e delicate solitudini di studio personali e da una adolescenza attraversata da un alitare di luci delle aperte campagne della bassa cremonese - è nato nel 1918 a S.Giovanni in Croce (CR) -. In realtà ha vissuto il secolo Ventesimo in tutti i suoi profondi e sconvolgenti rivolgimenti, la guerra, la prigionia in Algeria, il ritorno a casa nel difficile clima del dopo-guerra, infine l’insegnamento, la grande partecipazione appassionata alla vita dei giovani e della cultura, non soltanto locale ma, nazionale.
Fine storico e letterato, pubblica volumi antologici per l’insegnamento una “Storia della letteratura italiana” (1979) e nel 1971 aveva pubblicato “Contraddizioni” (un’opera di storia come testimonianza civile). Frattanto si avanza sempre più importante e preponderante, l’attività incisoria e disegnativa. Il disegno, del resto, aveva già fatto la sua comparsa fin dalla vita universitaria di Balestreri, a Milano, in una atmosfera di fermenti vivacemente culturali, filosofici con Antonio Banfi e storici con Federico Chabod. Da allora, il disegno, come l’acquerello e insieme, l’incisione, hanno costituito un processo, nella vita di Balestreri, di preminente ed appassionata ricerca per tutta la vita, come esigenza profonda del comunicare - anche se - come l’amico Mino Maccari gli aveva rimproverato - quel suo così fecondo e vivo “comunicare” non doveva essere ridotto (come l’umiltà e la solitaria riservatezza facevano) a un fatto “clandestino”, ma uscire all’aperto in pubbliche esposizioni. Il consiglio fu seguito e le incisioni di Mario Balestreri presero a girare il mondo e a solleticare il gusto e la gioia del vedere, non solo per i conoscitori amanti della nobile arte dell’incisione, ma per un pubblico sempre più largo.
Oggi possiamo, così, ammirare come un sicuro dominio acquisito delle varie tecniche abbia potuto raffinare strumenti di un quieto e dolce cantare la poesia di scene della strada (come “L’uscita dalla ceramica”, una puntasecca su zinco ripresa nel 1982), o di una viuzza cittadina (come “Vecchia città”, un’altra puntasecca su zinco, pure ripresa nel 1981), per finire in inattese formulazioni di quasi-astrattismi, pur esse ritmate di silenzioso canto, come l’acquatinta su zinco del 1982 intitolata “Vele”, un’opera di grande formato, dove l’ampiezza dei segni corposi, anziché dare nel corpulento, ritma la leggerezza e quasi il volo delle forme, sfuggendo alla stretta delle geometrie e levandosi nel respiro che sente il reale.
Il che fa il paio con i deliziosi tocchi aerei che traggono fuori dal piccolo foglio della stampa paesi immersi nella campagna fonda della “bassa” o argini del Po, come fossero evocazioni di una realtà fatta d’aria. (D.F.)