Alberto Casarotti nasce a Verona il 18 Novembre 1906. Attratto sia dalla scienza che dalle arti figurative, nelle scelte della prima giovinezza sembra prevalere l'amore per la prima tanto che, compiuti gli studi alla Breda di Milano, qui si impiega e contribuisce alla progettazione delle prime tecnologie avanzate di quella grande industria.
La svolta avviene nel 1938 quando si iscrive alla Scuola Libera del Nudo dell'Accademia di Brera, dedicandosi prevalentemente al disegno ed all'acquarello. Nell'ambiente di Brera - grazie anche all'amicizia del coetaneo Renato Birolli, compagno di studi nel medesimo Istituto Tecnico di Ragioneria, che lo introduce nell'ambiente milanese - stringe i primi contatti con artisti come Migneco, Sassu, Treccani ed il movimento di Corrente di cui farà parte.
Nel 1943, a causa del suo impegno civile e della sua risoluta opposizione al fascismo, viene licenziato e costretto alla clandestinità. Distrutta la casa milanese in un bombardamento, si rifugia in un cascinale della brughiera, a Ospitaletto di Cormano, dove si dedica febbrilmente alla pittura e dove rimane fino ai giorni della Liberazione. Nel 1945 espone nella sua prima Personale alla Galleria Santa Redegonda di Milano, presentato nel catalogo da un saggio di Marco Valsecchi e con una testimonianza dell'amico Renato Birolli.
Da allora numerose si succedono le mostre personali e le partecipazioni alle maggiori manifestazioni nazionali, fra cui, invitato, alla Biennale di Venezia del 1950, e alla mostra milanese del movimento di Corrente allestita al Palazzo Reale nel 1985. Da segnalare, ancora, i numerosi testi dedicati alla sua produzione a firma dei più importanti critici italiani quali, tra gli altri, Gillo Dorfles, Mario De Micheli, Raffaele De Grada, Carlo Munari, Dino Formaggio.
Da ultimo, avvertendo il richiamo delle proprie radici, abbandona Milano per trasferirsi in Val d'Adige, a Montalto di Rivoli, nella quiete delle colline veronesi, sino alla morte avvenuta nel 1991.
Fondamentale per la maturazione di Casarotti fu la frequentazione dell'am biente di "Corrente" dove accolse - lui uomo dalle forti passioni pur nella sua natura schiva e rifuggente ogni forma organizzativa - gli stimoli di rinnovamento artistico che andavano in senso diametralmente opposto al nazional-classicismo fascisteggiante del grande calderone del “Novecento” in Italia.
"Nella sua prima pittura - scrive Formaggio - si può trovare la tavolozza contenuta e severa del colorismo lombardo e insieme quella piena di accensioni infocate degli impasti della scuola romana. Dove, però, la dominante di fondo rimane sempre quella, arroventata e dolente, delle inquiete passioni dell'animo casarottiano."
La tensione sociale e morale , il disprezzo per l'ipocrisia, il bisogno assoluto di libertà sino all'anarchia, dentro le quali visse sin dall'adolescenza, permangono costanti dentro tutta l'opera di Casarotti tanto che la critica parlerà di lui come del pittore esistenzialista italiano - (Soutine italiano lo definì già all'epoca della prima mostra l'amico Birolli) - capace di trasferire sul quadro il senso dell'assurdo e l'urlo della rivolta.
Anche quando per un breve periodo, sul finire degli anni Quaranta, la pittura di Casarotti forzò i limiti figurali dell'immagine spingendola verso un astrattismo - una delle espressioni artistiche più significative del suo tempo che i critici identificano come periodo dell'espressionismo astratto - che impressionò per la magistrale sinfonia coloristica, neanche allora viene meno il pathos etico che insieme alla forza del segno - segno immediato, corporeo e potente, esente da ogni tentazione estetica ed ideologica - costituiscono il nerbo della pittura di Casarotti.
Dopo questa esperienza - non però senza traumi, tanto che la sua produzione si interrompe per un periodo di pensoso raccoglimento, in una severa revisione critica di sè stesso - Casarotti intraprende intorno agli anni 1954/1955 una ripresa della figurazione, passionalmente attratto dal quella "figura umana sconvolta e terremotata che narra le miserie dei corpi e della povertà, delll'emarginazione, delle contorte passioni del sottosuolo umano". Immagini potenti che segnano il periodo della grande maturità dell'artista. Proprio negli anni del boom economico italiano quelle immagini rappresentano l'amara riflessione sul permanere delle miserie, delle ingiustizie, della povertà, che egli esplode sul quadro sottraendole ad ogni vincolo di forma, libere da ogni schema concettuale ed intellettualistico.
Col passare degli anni, le violenze interiori sembrano placarsi, "mentre il colore stesso sempre più sembra stemperarsi nella luce e quasi dissolversi nelle azzurrine chiarità di un giorno sognato ed immemoriale. Così nascono le addolcite figure femminili degli anni più recenti che a volte sembrano riandare alle stilizzazioni degli anni Venti o persino di un certo Liberty".
L'opera esposta al Museo (Paesaggio, 1970) è un acquarello in cui l'autore si abbandona al lirismo del paesaggio veronese in cui la luce stempera le passioni in un operare maturo e lieto malgrado l'inquietudine di fondo.