Giandante X -straordinaria figura vissuta girovaga per il mondo, nato a Milano l’anno 1900 e quivi morto nel 1984, architetto, poeta, pittore, scultore, filosofo, eccellendo in tutte queste discipline d’arte e di pensiero, ha sempre vissuto in una sorta di quasi impenetrabile solitudine, una specie di monaco solitario tutto e sempre preso in una sua lotta anarchica per ideali di redenzione e liberazione dell’uomo di tutta l’intera umanità da sottrarre da ogni servitù, da salvare da ogni forma di miseria, di dolorosa esistenza, di bruta ignoranza.
A sedici anni abbandonava gli agi di una famiglia alto-borghese milanese (per quanto se ne sa) per avviarsi, tutto solo, per seguire quella voce di un compito di redenzione umana, dalla quale si sentiva chiamato a pensare e ad agire. E, per tutta la vita, scrivendo, dipingendo tele drammatiche, grandi e potenti volti a carboncino, manifesti e illustrazioni per giornali di sinistra, poesie scolpite in una materia linguistica incandescente, fu sempre pronto ad accorrere dove la battaglia era per le lotte di liberazione dei popoli. Così partecipa alla guerra di Spagna, pagò sempre di persona e, dopo quella guerra fu, per quattro anni, in un campo di concentramento in Francia. Ritornato in Italia, prese, com’era suo costume, un fugacissimo contatto con il Fronte della Cultura, da poco fondato, nel 1945, a Milano. A vent’anni, aveva precocemente iniziato la sequenza della ottantina di Mostre di pittura e scultura seminate (un po’ dovunque, ma soprattutto a Milano) sempre favorevolmente accolte e dalla critica giudicate di eccezionale forza espressiva e novità di impianto formale. Fu, con la presentazione di spinta augurale di un grande scultore, tra i maggiori del tempo (1920!), quale era a Wildt. Di circoli artistici, di mode, di maestri non si poteva parlare, tanto vigorosa e personale appariva, dovunque toccava la sua arte, se si eccettua una qualche suggestione derivata da Sironi. In realtà lo stile suo personalissimo potrebbe definirsi (con le sue stesse parole) quello di un forte “espressionismo-costruttivista”. L’uomo, nelle sue stupefacenti poesie di dolore di infinito amore, si autodefiniva: “ Eterno viandante /fra i poveri e le stelle” (Amore apocalittico, 1946).
Si firmò sempre:"Giandante X", creando in tal modo non solo l’abbandono del nome di famiglia (lasciato alle spalle insieme alla stessa sua famiglia) nome che qualcuno ha individuato come quello di Dante Pescò, ma mettendo in grave imbarazzo filologico i biografi attuali, avvolti in un groviglio di supposizioni. Dalle poesie, tuttavia, si ricava che l’essersi attribuito il nome “Giandante” doveva essergli venuto da una certa assonanza con “Viandante”, quale si sentiva e di fatto era: viandante per il mondo col suo grande ideale di liberazione umana nella sua bisaccia, unico vero bene di tutta una vita. La “X” poi, nel suo volumetto di preziose poesie "L'eterno viandante" (1946, Milano), prima della poesia allusiva dal titolo “ Viandante mi chiamo”, in una lirica intitolata “Martire”, aveva testualmente scritto iniziando :- “Tu l’angariato! Sopportato hai: sei lo spaccato/ Tuia diagonal incognita croce (X) fu atroce.” La “X”, è una incognita cancellazione del nome di famiglia ed è, al tempo stesso, la porta che si apre su una ricerca infinita di Fede, un cammino equazionale verso l’infinito ideale di una Umanità redenta.
Forse per questo che questo spirito forte e combattivo, negli ultimi anni della sua vita di singolo, anzi di "Unico" (diceva reiterando il famoso titolo della bibbia dell’anarchismo di Stirner) si isolò del tutto, chiuso nella sua bella casa di Via Senato a Milano, e per ben quindici anni obbligò il portinaio a respingere ogni visitatore che si affacciasse, impedendogli di salire alla sua abitazione. Uscì dal rumoroso e intrigante Consorzio Umano per avvolgere nella malterata fede dei propri ideali la purezza intatta della sua anima fasciata da silenzi musicali. Il suo nome, troppo presto dimenticato, rinasce ora.