Quando ci si imbatte nella pittura “sui generis” di Giancarlo Gusella (nato a Rovigo nel 1936), un genere di pittura-incisione sia per la tecnica personalissima, che per la figuralità essa evoca, anellando, la lunga infinita fiaba del cantafavole che, ad ogni opera, ritorna daccapo, instancabilmente a ricominciare la sua storia: di un imperituro mondo fiabesco cantato sulle note delle più vivaci tonalità coloristiche di incantate musicalità. Infine, un raccontare ingenuo e felice di piccole storie piene di dolcezza e di grazia, dove agiscono pinocchietti sentimentali, che ballano in girotondo intorno alla Cà d’Oro di Venezia o salgono nei cieli offrendo fiori all’amata o alla luna piena di una notte dei miracoli.
Oppure dove pagliaccetti dell’infanzia, cavalli a dondolo, cavallini bianchi innamorati girano per i cieli azzurri dei sogni e portano in sella vaghe fanciulle nel blu notturno della notte magica verso la luna piena sfolgorante di luce. Nel frattempo il cantafavole continua a tirare il carretto traboccante di sempre nuovi sogni d’infanzia sulle strade campestri di minuscoli paesini sognanti, dove, di primavera fiorisce, danzando su fiori bianchi, l’amato ciliegio di casa e, d’autunno, le foglie dolcemente colorate cadono a morire sulla terra e, a mezza strada della caduta, pregano di sospendere la morte imminente lamentando il distacco dall’albero materno della vita, e van dicendo flebilmente (titolo del quadro): “Ancora un attimo........”.
Non si può non riconoscere in questo mondo che canta la fiaba eterna del sopravvivere - nonostante un progressivo minaccioso avanzare, nel nostro tempo contemporaneo, di turbinose notti dell’uomo e del mondo - di una straordinaria estrema luce che illumina, in un’ultima festa del mondo, in una sinfonia di musica e di colori dove canta, intatta, la gioia dell’ingenuità profonda che anima i sentimenti originari, quelli dentro i quali la controfaccia uomo/natura, prima di morire sotto l’impero inesorabile di forze distruttive, possa ancora sollevare l’improbabile canto di una natura felice e dei sogni alimentati da un surrealismo che mantiene dentro la dolcezza del vivere antico o, almeno, di un felice malinconico sorriso che pensavamo di aver perduto per sempre.
Qui sorge il canto di un raggio di luna che, nella notte dei castelli e dei cavalieri innamorati, appare e scompare come i fuggevoli fantasmi dell’illusione amorosa tra le ramaglie immobili delle foreste addormentate.
Non per nulla, ma perché questo mondo di incantata e inattuale poesia che la cromoplastica pittura di Giancarlo Gusella ci offre, chiama alla mente la pagina di purissima poesia romantica del grande poeta spagnolo dell’Ottocento Gustavo Adolf Béquer (oggi rivalutato e studiato). Figlio di un noto pittore, nella sua breve vita (1836-1870) cavò pagine di sublime poesia, specialmente nel volume “Leggende” (tra le quali, appunto, “il raggio di luna” qui sopra accennato), fuggendo da un mondo tribolato da dolori e illusioni, per rifugiarsi nell’unico conforto dello sfogo artistico letterario. Forse come oggi succede al cantafavole Giancarlo Gusella.