Julia López è nata nel 1936 da una modesta famiglia a Ometepec, nella regione messicana di Guerrero. Di origine meticcia, nel 1951 lascia il paese natale e va a vivere a Città del Messico, presso una madrina. A sedici anni la sua bellezza viene notata dal alcuni pittori e incomincia a posare come modella alla Scuola di Pittura e Scultura La Esmeralda, dove ha occasione di entrare in contatto con il mondo dell'arte e di frequentare i più grandi artisti messicani come Diego Rivera, José Chávez Morado, Francisco Zúñiga e Manuel Rodriguez Lozano.
Indubbiamente l'esperienza infantile ha lasciato un segno indelebile nella psiche come nell'arte della Lúpez. "Vengo da un paesino di nome Omepetec, che fa parte della Costa Chica di Guerrero. Si tratta di un posto circondato da acqua: fiumi, cascate, lagune e mare... verde, verde; con degli animaletti selvaggi e libelule e colombe del campo... C'è un monte da dove escono cajetitos (scodelle di terracotta) precolombiani ... e da piccoli ... li raccoglievamo per giocare". L'incanto del paese natale, situato in una splendida vallata ai piedi dei contrafforti della Sierra Madre, circondato da foresta lussureggiante e ricco di acque che scendendo dalla montagna formano spettacolari cascate diverrà il tema fondamentale del suo mondo fantastico, quasi un eden ideale, lontano dal caos e dal frastuono della grande metropoli.
Julia racconta: "Ho sempre avuto la tentazione di fare poesia e mi piaceva moltissimo scrivere racconti per bambini. Scrivevo su certi animaletti: uccellini, farfalle, libellule. Quello che col tempo sarebbe diventato il tema dei miei quadri".
Dopo il suo arrivo nella capitale - metropoli violenta e contraddittoria - il suo talento ha fatto rinascere tutta la nostalgia del bel mondo perduto. Così ella non si è perduta nella metropoli ma ha conservato nell'anima il profumo e l'onda delle folate variopinte di fiori, dei grandi fiori che nella sua terra di origine cantano la gloria dei cieli e dei donatori di vita, gli dei.
Il suo lavoro è collegato alla pittura precolombiana e la struttura della sua opera ne è influenzata: essa non utilizza nè la proporzione, nè il volume, nè l'atmosfera accademica, bensì, alla maniera dei codici, troviamo nei suoi quadri una narrazione che si ricollega alla pittura rituale indigena. Più che alla tradizione naïf - termine che identifica un'arte popolare europea con sfumature primitive - le invenzioni della López ci propongono dolcissime e coloratissime composizioni ispirate allo splendore del mondo naturale e vegetale.
Non ancora intaccata dal disincanto del mondo - nel bel mezzo delle manifestazioni troppo sapute dell'arte contemporanea - le tele della López - scrive Formaggio (1996) - sono opere tessute nelle trame leggere di un infinito sentimento di gioia e di profonda nostalgia del mondo dell'infanzia, flores y cantos dunque, poemi innocenti e sapientemente nutriti di antichi sapori popolari di terra e di cielo. Non artificiosi primitivismi, dunque niente di naïf, ma un personalissimo mondo interiore, un semplice e limpido canto dell'anima che parla la sua lingua nativa.
Nell'opera donata al Museo - Niña en la Mesa, del 1996 - troviamo una sintesi dei temi della López: le predilette bambine (si tenga a mente che ella ha avuto tre figlie), i frutti, gli animali semplificati ed abbreviati fino alla loro essenza più semplice. Come la terra della sua infanzia, il quadro riempie gli occhi dello spettatore; da un estremo all'altro forme e colori si appropriano dell'intero spazio della tela.