Manlio Onorato - (nato a Castel Morrone, Cesena nel 1951; vive e lavora a Lonigo, Vicenza) - uomo di sensibilità squisita e vivace cultura, è venuto alla sua pittura senza imprestiti, ma solo per natura e percorso proprio, per spinta ispirativa di vita e di pensiero, in un personale cammino. Non passa, come Malevic, per Léger, per il Cubismo, per il Futurismo (di forte impatto nela Russia di quegli anni). Ma, analogamente a quella importante rivoluzione suprematista di fronte a quegli anni di grandi rivolgimenti, opera per una spontanea simile risposta a questi nostri anni di nuovo culturalmente, socialmente, artisticamente sconvolti. Di nuovo, contro il montare della cruda oggettività dilagante dall’utilitarismo consumistico pesantemente pratico, egli risolleva la bandiera, già suprematista, del nulla “emancipato”, della rigorosa “non-oggettività”, del grande “bianco” spaziale. Quel puro bianco che, in un’appassionata pagina profetica, così Malevic celebrava, auspicando una cultura non-oggettiva come salvezza di una società in preda allo sfrenato “soddisfacimento dei bisogni materiali”: “Eppure essi si dissolveranno, dovranno dissolversi, nel realismo suprematista”. In una grande visione utopica del mondo, Malevic, nel 1922, contro ogni brutale materialismo, dialettico o non dialettico che fosse contro quello che egli chiamava un “realismo della greppia” nel quale allegnava la cultura stessa, opponeva la rinnovata cultura del realismo suprematista. Non si può tuttavia a questo punto pensare che la pittura di Manlio Onorato possa essere esaurita dal termine suprematista, poichè evidentemente si complica, per un complesso di vasta cultura figurativa, anche in una consapevole non-oggettività dei suoi bianchi, dei suoi azzurri e dei suoi giallini di solarità mediterranea, un grande mondo utopico dove regna la luce. Una luce che non è solo un ideale iperuranico ma un riscatto del mondo in mezzo a una fine secolo che si va abuiando.
Onorato ha nell’anima il Sud natio, il Mediterraneo; da qui nascono le emozioni intuitive che soffiano negli ampi spazi bianchi del foglio e della tela, le lievi tonalità di una solarità greca. Arpeggiano le note rade e staccate di un canto che si sfuma nel cerchio dell’infinito. Al nulle, per animarsi, basta poco, basta un cenno che fa segno, una nota di colore che si perde nell’aria, una musica di “staccati” che evoca cieli e terre primaverili, terre di desideri e di rinascite. É in questa luce bianca e leggera che la Natura di Onorato, la natura dell’uomo e del suo mondo, si alza, nelle sue opere, mentre si fa arte nela sua maggiore purezza, in tutta la ricchezza e la preziosità della sua sfolgorante povertà protesa verso un possesso di assoluto: di un “assoluto” che ci viene rimandato da un assoluto pittorico e musicale. (D.F.)