In questa antica Padova, che tra piazzette ciacolanti e passeggi tra i suoi ombrosi, ventila arie narrative ad ogni angolo, non è difficile incontrare chi, con l’arte del dire, o di uno scrivere proprio, con discorso figurato vivido di immagini, o, infine, con l’arte stessa direttamente figurativa, ossia con la pittura, con il disegno, con il lavoro dell’incisore, porta avanti questa atmosfera così tipica della cultura veneta nei secoli, del fabulare arguto e graziosamente divertito, metà realtà e metà invenzione, fatto per rallegrare, per informare, o per riempire il tempo con un trasvolare lieto di immagini curiose.
Ebbene: Albino Palma appartiene, corpo e anima, a questa cultura veneta, e, nell’opera incisoria di alto livello dei suoi cicli narrativi - come Il ciclope innamorato, Rinoceronteide, Patavinitae Universitatis Lumina, I minotauri, e altri - dove, più di ogni parola e dei discorsi verbali, scatta a parlare la potenza del segno e della presenza oggettiva e figurale che rende viva e sapida l’ironia, a volte incisiva come un giudizio etico sui caratteri individuali o sul grottesco professionale o sociale che sprigiona un sottinteso giudizio critico.
La magistrale arte incisoria di Albino Palma si presenta così come una pienezza artistica stratificata di alcuni vissuti originari, di molteplici esperienze che hanno arricchito l’inconscio personale dell’artista, quel fondo ribollente nel quale ogni artista non cessa mai di attingere (o di intingere) il senso primario della propria opera, e che qui, nello svolgersi dei cicli incisori di Albino Palma, sembrerebbe trasudare un radicale senso pessimistico come è stato detto, come l’asta di Peleo, che dove colpisce ferisce per risanare, allora bisogna dire che questo pessimismo sotterraneo, che esce da sotto il mordente ironico o il grottesco caricaturale delle figurazioni di queste incisioni, costituisce anche un richiamo di critica etica verso l’orizzonte di un individuo e di una società dove l’essenza umana dell’uomo trionfi sopra il suo continuo rischio di cadere nelle forme della mostruosità animale.
Dunque Albino Palma, che ha radici e lavori pubblicati che appartengono ad un mondo letterario classico, oltrechè scrittore fabulistico, è soprattutto in questi suoi cicli di straordinaria tecnica incisoria che, con l’estrema padronanza del suo amato bulino, scava nei metalli segni di vivacissima sapienza espressiva e dà vita a mondi e figure di gustose narrazioni fabulistiche, ricche, come s’è detto, di dense stratificazioni di senso, dentro e sotto la superficie del primo apparire. Il che è quanto di meglio ci si può aspettare da chi l’arte e il segno tratta non già per qualche momentanea degustazione voluttuosa o per ingannare gli insipienti, ma per dire in piazza - in veste di fiaba - cosa si possa pensare dell’uomo.
In un tempo come il nostro, che guarda con indifferenza ogni stravolgimento dell’umano e che imperterrito assiste al progressivo inesorabile crollo di tutti i valori che come costellazioni hanno guidato per secoli il cammino umano, mentre da tempo si lamenta la morte dei grandi miti, questa narrazione mitologica di una massiccia corporeità bestiale di un Rinoceronte acefalo che come bruta massa corporea governa le sudditanze umane, è qualcosa di più di una semplice narrazione. Tocca qualcosa di un senso umano che non muore. (D.F.)