Enzo Raffaele (1932-2000) era riuscito, nonostante una intuizione originaria di fondo dapprima sorta da sinceri afflati impressionistici, a svolgere la sua opera pittorica sulla base, di fronte ai ritmi di un paesaggio - arboreo o lacustre che sia, (ma più ancora se di monti o di case sparse o attruppate), di un meno lieve o disperso sensibilismo impressionistico ma piuttosto, di qualche eco a volte post-impressionista. Si potrebbe allora dire che, nei casi più evidenti di tale operazione, i riferimenti possono giungere fino alla magistrale strutturazione materiale e sintetica di autori come il Cézanne della Sainte Victoire. Tutto questo, come qualche altro possibile riferimento alla pittura contemporanea, va inteso come suggerimento tecnico- modulare, sempre usato non già come modello ripetitivo da assumere a mo’ blocco da sovrapporre al proprio lavoro, ma come valida indicazione di un libero ed espressivo movimento della propria tecnica personale nella strutturazione formale dell’opera. Il che è, poi, il modo più appropriato e più utile di guardare ai grandi modelli che ci hanno preceduti e quindi appropriarsi dei loro segreti tecnico-formali.
Raffaele sa, come ogni vero pittore, che la tecnica non deve mai sopraffare l’emozione, il sorgere e vivere dell’immagine interiore, la stessa libera nascita delle forme sensibili. Ed anche se in lui la pratica appassionata dell’arte pittorica era giunta in età avanzata, già le idee del procedere in questo campo non privo di spazi minati per chiunque vi si avventuri, erano sfociate in una personale maturazione di direzioni di lavoro. Il paese è là, davanti allo sguardo che ne assapora la luce, le forme emergenti, il battito dei colori; gli alberi si agitano come vite parlanti, hanno qualcosa da confessare e qualche conforto da dare, la terra è vestita di vegetazione, le distese d’acqua dei fiumi e dei laghi sollevano un abbraccio di luce, la vita universale prende a poco a poco a parlare in pittura, l’opera può cominciare, l’emozione, pennellate dopo pennellata, si travasa delicatamente nel discorso musicale dei colori, il vivente cosmo là davanti, trapassa in un nuovo organismo vivente ed ecco il quadro, prima guardato e assaporato e poi conchiuso nelle reti del dipingere.
Per fortuna nostra e dell’arte, c’è ancora qualcuno come Enzo Raffaele, che in questo modo, per una insopprimibile esigenza interiore, tra emozione e tecnica artistica, per via diretta, si è dedicato alla pittura, spinto solo da una visione che “gli detta dentro”. Perché così, fin dai lontani secoli, è nata la prima opera di pittura. Senza malizie, senza contorsioni cerebralistiche, senza trappole per gli allocchi (e sa il cielo quanta merce del genere sia stata messa in circolazione nel nostro tempo), la pittura, anche per chi la sposa in età avanzata, torna, alla sua più vera vita originaria. In questo modo, si può ben dire che la pittura di Raffaele si possa offrire, anche oggi, agli occhi di chi, come noi, gira per il mondo assetato di bellezza, come un fresco mazzo di fiori profumati che parlano di primavere fiorite, di canti di colori e di musiche di luci: di un mondo e di una natura felici al di là del tempo.