Come nella sua Mostra di successo a Milano (alla Galleria Pater nel 1956), ancora oggi, dopo quasi mezzo secolo, la pittura di Alfonso Sella (botanico e dialettologo autore di notevoli volumi scientifici, oltre che pittore), ha sempre camminato con grande coerenza e alte realizzazioni. Per cui, ieri come oggi, possiamo dare ancora giudizi di sicura validità e di sempre più avanzata maturità.
Alfonso Sella è nato nel 1913 a Roma, ma non è per questo anche minimamente meno biellese, anzi meno “montagna biellese”, di quanto già non lo fossero i suoi molti ed illustri avi. Egli vive e lavora a Biella, tra grandi alberi, nella antica casa dei padri che affolla ombre e ricordi per ogni stanza. Naturalmente questi non sono dei puri dati da elencarsi per amor di biografia, ma già costituiscono un segnale, per qualche attenta sensibilità, atto ad indicare il punto dove il cammino greve di un uomo di colpo può sollevarsi sui fatti positivi della storia e svolgersi tra scie di nebbia verso l’irto regno del Mito. Mito, cioè mondo: non vuoto esercizio formalistico, ma mondo che per pudore nasconde - e pur sempre intrattiene vivissimi - i legami con quei fatti positivi che fanno la storia nelle vallate umane. Così chi cerca la “realtà” sol che voglia aver occhi per vederla, potrà anche qui trovarla; ed accade che in opere di questo genere l’umano denunci con più “verità” la sua aspra ed ironica condizione. Questo è un mondo sotterraneo, che s’alimenta all’irrazionale, alle “memorie del sottosuolo”. Da ogni parte uomini a pezzi come manichini entrano, appaiono, s’inoltrano negli angosciosi meccanismi di quella cupa prigione ch’è il sottosuolo umano: a volte vi portano una loro debole luce di candela ed ecco che l’ombra di una testa proiettata sulle pareti diventa grande e viva come un incubo, più grande e più viva della misera figura dell’uomo, e suscita lo stupore dei folli gatti che abitano il luogo.
Così s’accendono apparizioni tra architetture d’ombra, mentre infantilmente pagliacci parlano con grandi lune, o sopra nebbiose lande teorie di strani personaggi siedono per conferenze lunari che spaesano fino al ridicolo l’immortale sussiego dell’uomo.
Mondo sotterraneo, s’è detto. Metafisicismo? Surrealismo? Se di surrealismo vogliamo parlare, bisogna subito dire che questa “surrealtà” non ha affatto rifiutato i controlli della ragione ordinatrice, anzi: ciò che rifiuta è proprio lo spappolarsi vegetale o midollare di certo surrealismo d’oltralpe ed ama risolversi invece nei severi ordini del pensiero geometrico.
Il mito della grande luna, diventa allora nel quadro un’equazione di cerchi vaganti, per semplicissima indicazione di qualche sublunare accadimento che a caso sia venuto a porsi dentro al rettangolo dell’opera. E qualcosa bisognerebbe anche dire a proposito di lunghi e precisi controlli razionali in questo mondo di fantasmi, della paziente ricerca tecnica che sta alla base di quest’arte. Essa muove da un amore scientifico delle materie e delle loro nascoste possibilità. Potrebbero dirsi, questi, dei disegni monotipi: essi son sorti con un’opera di inchiostrazione che s’avvale di successive sovrapposizioni, attenta a misurare e a controllare l’infinito gioco causale delle relazioni minime che emergono dalla rugosità delle materie stesse come dai vecchi muri o dai feltri variati dalle muffe. Materie pullulantid’infinitesimi punti di vita, che fan ricca e profondamente qualitativa la tecnica e più prezioso il mondo di questi oscillanti fantasmi che, nei loro ambiti geometrici e nei loro assurdi o pietosamente ironici retroscena, parlano di un’altra e personale ricerca che non potrà non riscuotere i più ampi consensi.