Giancarlo Franco Tramontin (nato a Venezia, 1931; ivi residente titolare della cattedra di scultura all’Accademia di Venezia; già prestigiosamente tenuta da Alberto Viani e, in precedenza da Arturo Martini), da così grandi Maestri - e specialmente da Viani (al quale fu lungamente vicino come Assistente), insieme ad una magistrale tecnica di scultura, ha tratto una propria personale forma di “Astrattismo”. Un Astrattismo non di scuola o di maniera, ma particolarmente denso di finissima sensibilità per le superfici - come sempre delicatamente accarezzate - dei corpi, sia per una presenza mai indurita da schemi o cerebralizzata - di un reale umano, nel suo vivente movimento e nel suo flettersi dolcemente, quasi immerso nelle acque oscillanti e nella luce trascolorante della sua Venezia.
Scultore di estrema delicatezza e di squisita sensibilità umana e artistica, pur in una sintesi tensiva di assoluto, quasi di mistica trascendenza formale, mantiene presente, in modi del tutto personali, il reale nella sua vivente organicità. Si osservi come, in certe sue recenti piccoloe sculture in legno, con quanata lievità di tocco Tramontin evochi la vita, sommersa ma presente, dei corpi giovani e delle flessuosità femminili. Sono sculture dove le presenze corporee sembrano appiattirsi sulla estensione di un piano bidimensionale e che qusi solo la linea profilante del disegno debba vivere. Ma, immersa in una specie di fluidità fluviale, la corporeità modulata dalla luce traspare e sente il suo trapassare da una illusoria bidimensionalità ad una tridimensionalità volumetrica delo spazio e già si erge viva dal piano proprio per dire la vita del reale. La sua forma sembra lievitare dolcemente, modulandosi per cenni discreti e pudichi, per guadagnare una tridimensionalità organica che è quella del corpo che parla e vive e si avvolge e coinvolge nella quarta dimensione del tempo. Le forme, che trascendono la vita, portano in grembo la rorida mobilità delle nuove nascite e il respiro della loro entrata nelle curve del tempo. Questo dicono le felici nascite che si compongono dentro alle più avanzate sculture di Tramontin.
Lo dicono il trascorrere e scivolare acqueo dei piani strutturali, che dolcemente trapassano uno nell'altro senza rotture e violenze, sempre musicalmente uniti e collegati nell'assoluto di una sintesi unitaria. Sintesi tanto più valida quanto più non dissolve le materie e i corpi nella troppo purificata e devitalizzata sintetizzazione intellettualistica, che leviga fino al nulla il reale. Quando l'assoluto si assolutizza troppo, muore di sottigliezza: si autonega nel nulla. Tramontin ha svoltato presto, davanti a questo rischio; e il suo amore del vivente ha vinto la sua battaglia formale. I corpi flessuosi che sembrano emergere a fior d'acqua, incantano perché parlano del nascere di una vita che è più che una vita, come succede per la vera arte nelle sue forme più sincere e più autentiche, più sicuramente durature nel tempo; perché hanno saputo obbedire al tempo, al tempo non astratto del vivere, e, insieme, imprigionarlo nella sfida materiale e formale dell'opera.