L'incisione non mente, non mente mai. Perché, come ogni organizzazione di segni e di segni simbolici non può mentire. Ogni organizzazione segnico simbolica (che non sia di parole o discorso) non può mentire, per il semplice fatto che, se mente, necessariamente dice che mente.
Questo appartiene alla natura intrinseca del segno e specialmente del segno simbolico.
Se ciò è vero, soprattutto vero è per quel che riguarda il segno inciso, scavato a viva forza nel metallo, nella pietra, nella durezza dei plexiglass e in qualsiasi altro supporto materiale che per compattezza e durezza resistente allo scavo, lo supporti e lo mantenga come matrice, mentre la parola e il discorso possono benissimo dar luogo al mentire, alla menzogna, all'inganno.
L'uso e l'organizzazione strumentale dei bulini, delle puntesecche, scavano segni indelebili che come tali non possono mentire senza dire, cioè rivelare che mentono. Tutto questo diventa documento.
L'incisione allora documenta in modo inequivocabile la verità dei segni incisi, del loro maggiore o minore spessore simbolico, della natura stessa della tipologia umana dell'incisore.
L'atto rivelativo diventa particolarmente importante e significativo per la ricerca o l'individuazione della sintomatologia di una persona, oppure allargando il panorama delle opere in esame di un gruppo, una scuola, una cultura, un orizzonte di forme di un popolo nella sua storia e nelle sue tipicità dei sistemi formali ed espressivi.
Queste riflessioni sono venuto infilando nella mente e soffermandomi davanti alle opere di Giovanni Turria ho letto con una certa compiacenza professionale rivelativa di un'ulteriore riprova dei ragionamento di cui sopra in quelle sue costruzioni segnicosimboliche, l'apparire dei quadro psicologico di una generazione, la generazione dei giovani d'oggi.
Giovanni Turria è nato nel 1970, dunque traccia sismograficamente le ombre e le luci delle inquiete, agitate forme dell'anima giovanile. I volti delle sue figure (trattati a volte con la tecnica della maniera nera) emergono dalle nere ombre nelle quali sembrano galleggiare semisommerse. La luce, persino nei bianchi tramati, sembra ingrigire e venire meno, tra veloci tracce filamentose. I cieli appaiono ristretti, ridotti a poca cosa, come un grumo di maledizioni sulle figure faticosamente fuoriuscenti in cerca "boccheggianti" di un filo d'aria. Basta per dire senza dire una condizione esistenziale gravida di minaccia e futuro.
Davanti a questa panoramica si provano particolari emozioni e si raggiungono elementi dì giudizio critico difficilmente reperibili nel clima in evoluzione di un'arte, come l'incisione, dinamicamente documentaria di un profondo "esistenziale" umano.
Così avviene, a volte, che si possano incontrare certi tentativi giovanili di uscita dal risaputo o di qualche esercizio ripetitivo; ma qui annunziano la sorpresa dei nuovo e dei profondo. Come appunto avviene per l'opera incisoria di Giovannì Turria Un siciliano acuto e gentile, ricco di antiche sapienze riposte e di immaginosa formazione, di già notevoli successi italiani e internazionali, ma raccolto tutto nella propria meditazione sull'esistere e devoto alle materie espressive, alle loro sempre rinnovabili tecniche e al fiorire dei volti umani nel loro attonito emergere dal buio degli imperscrutabili inconsci alla scarsa luce dei mondo. Egli si fa, movendosi anche nel buio della maniera nera, con delicatezza antica, testimone dei suo tempo e dei giovani inquieti e agitati da troppi vari ma sempre oscuri orizzonti culturali. Come, esemplarmente, avviene nell'incisione a puntasecca Oroxarabia I e nella maniera nera Oroxarabia II, due eccellenti opere dell'anno duemila, testimoniali non solo dì un'alta padronanza della tecnica ma pure di un esistere profondo. (D.F.)