Fulvio Pendini è nato a Padova il 24 Febbraio 1907. Compiuti gli studi di pittura presso l'Istituto d'Arte "Pietro Selvatico" di Padova, contribuì, insieme agli amici artisti del Circolo il Coccodrillo fin dal 1946, alla divulgazione in città della nuova cultura figurativa che andava affermandosi. Dal 1950 promosse ed organizzò, insieme all'Associazione Pittori e Scultori, la Biennale d'Arte Triveneta e il Concorso Internazionale del Bronzetto di Padova.
Tra la sua produzione merita una particolare menzione i lavori ad affresco eseguiti con Achille Casanova al Santo e con Cesare Laurenti, Giò Ponti e Gino Severini all'Università di Padova. Muore nel 1975.
Nel periodo tra le due guerre Pendini svolse la sua attività appartato nell'ombra della provincia per portare avanti una personale ricerca ben diversa e lontana dall'accademismo novecentista imperante e dalle varie ondate dell'avanguardia futurista la cui vena stava ormai esaurendosi. Nelle sue opere affiorano echi di importanti incontri - da Severini a Morandi, da Picasso a Klee - ma tutti visti con distacco, trasformati e personalizzati dal proprio originale temperamento artistico.
La critica che si occupò di Pendini riconosce varie fasi di ispirazione pittorica nella sua produzione: quella iniziale, contrassegnata dalla popolarità delle scene di matrice veneto-ottocentesca; quella dei cestelli, delle nature morte, degli scacchi; poi, ancora, quella della sovrapposizione architetto nica ed antiprospettica con cui reinventa l'immagine della sua città; quella dell'astratto, più avanti. Ma quel che rimane ricorrente nella sua pittura - e ne costituisce il nerbo stilistico - è costituito dal semplicismo ideativo della rappre sentazione, dal tono fiabesco e dal sapore medievale delle sceneggiature cittadine, dal lirismo dei toni.
L'opera esposta appartiene al periodo degli scacchi, delle nature morte, di quelle opere in cui le cose "minori" del vivere quotidiano si appropriano della scena pittorica a significare quel personalissimo rinnovamento dello sguardo attuato da Pendini che proprio nelle cose più umili riconosce la materia per un canto nuovo.