Dino Lanaro (Malo, Vicenza 1909 — Milano 1998) per contribuire alle necessità della numerosa famiglia deve impiegarsi giovanissimo (nel 1924, appena quindicenne) come disegnatore cromista in uno stabilimento grafico dove apprese i procedimenti della tipografia e successivamente della litografia. La predisposizione e l'istinto, inoltre, lo condussero ad esercitarsi anche nel disegno e ad avvicinarsi, da ultimo, alla pittura. Il servizio militare svolto a Padova fu un'occasione per entrare a far parte, negli anni 1930-1931, del gruppo di quegli artisti (come Antonio Morato, Dino Lazzaro, Luigi Strazzabosco) che qui allora operavano in maniera originale ed autonoma rispetto al contemporaneo movimento nazionale del “Novecento”, ed insieme ai quali espose nel 1931 alla Mostra Internazionale di Arte Sacra, forse la prima di questo genere in Italia, ospitata in quella città.
Il 1° febbraio 1937 si trasferisce a Milano dove ha modo di stringere rapporti di amicizia con i giovani artisti e letterati che nel 1939 daranno vita al Movimento di "Corrente". Presentato da Renato Birolli partecipa alle prime due mostre organizzate dal gruppo milanese presso la galleria di via Spiga.
Nel dopoguerra - tra le numerose Mostre personali e collettive cui ha partecipato, oltre ai premi e riconoscimenti che ha conseguito - segnaliamo l'invito alle Biennali di Venezia del 1948, del 1950, del 1956 ed alle Quadriennali di Roma del 1947, 1951, 1959 e 1965. Sempre a Milano è stato titolare della Cattedra di Pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera.
L'opera pittorica di Dino Lanaro - sostiene Formaggio - si distingue per aver attraversato indenne le perturbazioni che questo secolo, così nella scienza come nell'arte, ha portato con sè. Lontana "... dalle seduzioni di qualche facile piacevolezza e dalle ingannevoli sottogliezze degli artifici e delle mode" , la limpidezza e la serenità della sua pittura, che ha intrapreso la strada di un ritrovamento di antiche e sempre nuove contemplazioni intatte della Natura, non risulterà mai scalfita o turbata.
Maturata nel clima stimolante e innovatore di "Corrente" - non nel filone di marca realistica dalla forte accentuazione sociale evidente in Guttuso ed in Sassu, ma, piuttosto, riferendosi alla linea che fa leva su di una tensione lirica di matrice espressionista più vicina a Birolli, Cassinari e Valenti - Lanaro va proponendo una sua originale via che tempera l'espressionismo nella luce del tonalismo veneto. Non si tratta di un Realismo naturalistico (anche se ha per oggetto la natura) bensì di una sapiente mediazione del reale. Non si tratta neanche di un Realismo sociale nel senso che non si lega a ideologie o manifesti programmatici; si tratta, invece, di un Realismo poetico in cui si guarda al reale "per trasfigurarlo in una grande estasi di luce, in precisi ritmi di canto e di poesia". Quello che specifica questa autentica pittura poetica - scrive ancora Formaggio (1989) - è "... una caratteristica e originale esaltazione di una delle più difficili sintesi tecnico-formali in pittura, che è quella dell'unione attiva di luce e colore" che pur ispirandosi talvolta al colore-luce di Van Gogh, talaltra alla lezione di Cézanne, o di Carrà e Morandi, maestri della sua prima ricerca, mantiene e consolida un'originale impronta. Anche quando si è parlato di una svolta astrattista - in una semplicistica ricostruzione dell'itinerario pittorico di Lanaro quale passaggio dal Realismo all'Astrattismo (tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni settanta), e di nuovo di un ritorno al Realismo negli anni settanta e ottanta - non si è trattato di una improvvisa conversione quanto piuttosto di "... una dilatazione spaziale della propria visione del mondo non più applicata ad una panoramica larga ma ad una porzione ristretta e concentrata di paesaggi e di oggetti naturali..." ma dove sono ancora "gli stessi alberi gonfi di luce, gli stessi vigneti magri e contorti... anche se il tutto, ora, riappare nell'esaltazione lirica - qui potenziata - di piccole zone dilatate e aperte come grandi fiori".
L'olio presente al Museo (Ricordo di Spagna, 1979) - dove è evidente come memoria e immaginazione intervengano nel processo pittorico di Lanaro per cui l'opera non nasce quasi mai direttamente al cospetto della realtà oggettiva - è un tipico esempio di come il colore-luce, tratto specifico della pittura di Lanaro - mediante l'esaltazione dei sapienti accordi di un colore che "... non strappa, non urla mai, non esplode, ma si affida dolcemente al sogno felice della natura..." e che tende a far della luce più luce - sia capace di interpretare la liricità del sentimento in una visione poetica del mondo.